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Dai Beati Paoli al Codice da Vinci: il mito del complotto nel feuilleton |
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Complotti e popular culture: I Beati PaoliPer loro natura, i complotti sono particolarmente adatti a calarsi non solo nell'immaginario collettivo ma nella popular culture. Ha un senso parlare di popular culture in un'epoca postmoderna in cui ogni divisione fra cultura "alta" e cultura "popolare" è messa in discussione, talora non senza qualche ragione? E, anzitutto, perché popular culture e non "cultura popolare"? Per inguaribile anglofilia o mania "americana"? Non proprio. L'italiano "cultura popolare" - grazie anche a una scuola di studiosi rispettati in tutto il mondo - indica immediatamente un patrimonio di tradizioni che fa riferimento anzitutto al folklore. L'inglese popular culture ha mantenuto anche in italiano il senso diverso di una cultura "di massa", nata con l'irruzione in Occidente dell'alfabetizzazione di un gran numero di persone che, avendo imparato a leggere, volevano delle letture semplici, attraenti e di effetto immediato dove, ancora, il tema del complotto contribuiva sia alla semplicità sia all'effetto. La popular culture risponde alla domanda su "che cosa far leggere" a queste persone scoprendo che è più facile leggere tutto quanto è seriale, ritorna con gli stessi personaggi e con la stessa ambientazione settimana dopo settimana o mese dopo mese. Questa serialità, che si declina in vari modi - prima il feuilleton, poi il fascicolo popolare, la dime novel, il pulp, il fumetto, poi ancora le derivazioni radiofoniche e televisive - costituisce in senso rigoroso lo specifico della popular culture. Tutti e quattro questi generi hanno anche scatenato polemiche e controversie, la cui posta in gioco ideologica andava al di là dei problemi contingenti. La prima incarnazione della popular culture è il feuilleton. Questo può essere definito come il romanzo pubblicato in frammenti successivi come supplemento a un giornale quotidiano o periodico. La parola feuilleton è coniata alla fine del Settecento dal giornalista francese Louis-François Bertin (1766-1841), ma il feuilleton che nasce come allegato ben distinguibile e separato al Journal des débats da lui diretto contiene le critiche teatrali. Il feuilleton come romanzo a puntate nasce negli anni 1840 e viene in primo piano con la pubblicazione de I misteri di Parigi di Eugène Sue (1804-1857) negli anni 1842-1843. Siamo qui alla preistoria di una vera popular culture, perché Sue - come più tardi Alexandre Dumas (1802-1870) e Charles Dickens (1812-1870) - "pensano" il romanzo come un libro e lo frammentano in puntate per ragioni economiche (guadagnano di più dai giornali che dagli editori) e per raggiungere un maggior numero di lettori. Va però ricordato che il tema del complotto è già presente in Sue ed è sviluppato nel modo più coerente ne L'Ebreo Errante (Sue 1856), che riprende il tema complottista più noto nel mondo laico e anticlericale della sua epoca mettendo in scena il grande e universale complotto dei Gesuiti. La vera popular culture nasce quando il romanzo è, al contrario, pensato in funzione del feuilleton, "scandito" secondo la divisone che è destinato ad avere sul giornale, e soprattutto inteso a creare personaggi le cui gesta tendenzialmente non finiscono mai: la fine di una storia è l'inizio della successiva, dove il lettore ritrova gli stessi principali protagonisti. Se la "serialità" senza fine è il cuore stesso della popular culture, per quanto sia difficile attribuirgli un inizio preciso, il primo autore che "pensa" il feuilleton in questo modo sembra essere Paul Ponson du Terrail (1829-1871) con il personaggio di Rocambole (1857-1870), mentre Paul Féval (1817-1887), dopo romanzi di altro genere, entra completamente nella logica propria del feuilleton con la saga degli Habits Noirs (1863-1875), i cui riferimenti alla mafia non sono casuali. Gli Habits Noirs sono però dei criminali ultimamente senza scrupoli e senza valori che li rediamno, così come la banda che circonda Fantômas, la cui storia inizia in feuilleton nel 1911 dopo l'incontro, storico per la popular culture, fra i suoi creatori Pierre Souvestre (1874-1914) e Marcel Allain (1885-1970). Appartiene all'epoca d'oro del feuilleton anche la maggiore produzione italiana del settore, I Beati Paoli (1909-1910) di Luigi Natoli (1857-1941), che ha segnato la popular culture italiana, e siciliana in particolare, con conseguenze che si fanno sentire ancora oggi. I Beati Paoli esce in feuilleton in appendice al Giornale di Sicilia in 239 parti dal 6 maggio 1909 al 2 gennaio 1910. È pubblicato in volume nel 1921 (Galt 1921), e ha un seguito, Coriolano della Floresta, nel 1930 (Galt 1930). Nel 1955-1956 I Beati Paoli e Coriolano della Floresta entrano nel mondo del fascicolo popolare con 137 fascicoli pubblicati dalla casa editrice La Madonnina di Milano, proprio al crepuscolo della grande stagione del fascicolo italiano. Da allora, il romanzo è rimasto disponibile fino ai giorni nostri per generazioni di lettori, e si sostiene ancora che è il testo in assoluto più letto nel XX secolo dai siciliani. Non è questa la sede per ritornare sulle controversie sulla reale esistenza dei Beati Paoli e sulla loro vera o più probabilmente presunta continuità con i "Vendicosi", un gruppo di giustizieri e di vendicatori del popolo menzionato in documenti già del XII secolo e sulla cui effettiva realtà non ci sono a loro volta dati certi. Né per approfondire le controversie più recenti su I Beati Paoli come "romanzo di mafia" (Renda 1988) o, più esattamente, romanzo dove la mafia sarebbe andata a cercare le sue patenti di nobiltà, fino a un Tommaso Buscetta che afferma in una deposizione: "La mafia non è nata adesso, viene dal passato. Prima c'erano i Beati Paoli che lottavano coi poveri contro i ricchi (…): abbiamo lo stesso giuramento, gli stessi doveri" (cit. in Montemagno 2002, 51). La questione è stata affrontata tra gli altri da Umberto Eco (nella sua introduzione a Natoli 1971), e non può essere risolta in questa sede. Segnaliamo però - per il collegamento con la storia del feuilleton e dei fascicoli popolari - che il presunto legame fra mafia e Beati Paoli non nasce con il romanzo di Natoli: quando il tenente della polizia di New York Giuseppe Petrosino (1860-1909) - che darà il nome a una lunga e fortunata serie di fascicoli popolari in gran parte scritti in Germania e tradotti poi in Francia e in Italia - è assassinato a Palermo in Piazza Marina il 12 marzo 1909, l'inchiesta di polizia rivela che la mafia, responsabile dell'uccisione del famosissimo poliziotto italo-americano, non solo si è già appropriata del mito dei Beati Paoli, ma tiene riunioni in un sotterraneo che la voce popolare vuole fosse stato sede della più antica società segreta (cfr. Montemagno 2002, 52-53). Certamente, alcune figure del romanzo di Natoli sono storiche, e in fama di Beati Paoli - si trattasse di conventicola reale o di invenzione poliziesca - nel Settecento, come il "razionale" Girolamo Ammirata, che avrebbe dovuto essere impiccato il 27 aprile 1723 ma di cui non si poté impiccare che il cadavere, essendo egli morto in un tentativo di fuga dal carcere. Le notizie però rimangono vaghe, soprattutto su riti e cerimonie iniziatiche: l'idea che i Beati Paoli giurassero sugli scritti profetici di Gioachino da Fiore (1135-1202) è suggestiva, ma non appare totalmente provata e potrebbe essere frutto di confusione con organizzazioni iniziatico-criminali più antiche (Montemagno 2002, 49-50). Quanto a Luigi Natoli, mazziniano e anticlericale, vicino ai circoli massonici della sua epoca, si ritrova nella tradizione di un Eugène Sue, ma non manca mai di distinguere fra un alto clero corrotto, un'Inquisizione dipinta secondo gli stereotipi della letteratura anti-cattolica dell'epoca, e i buoni frati quasi sempre vicini al popolo siciliano. L'interesse de I Beati Paoli non deriva solo dal suo enorme numero di lettori ma dalla svolta che fa registrare all'interno della tradizione stessa del feuilleton. Con la conventicola guidata dal personaggio (che sembra di fantasia) di Coriolano della Floresta nasce propriamente il "complotto buono", la società segreta che opera non contro ma a favore del Bene, restaurando un ordine sociale che le autorità corrotte non sono in grado di proteggere. Certo, Umberto Eco può notare che si tratta qui di una restaurazione che rimane al di qua dell'azione corale del popolo in certi feuilleton francesi coevi e che non ha nulla di rivoluzionario, restando all'interno di una logica cavalleresca e feudale. Ma che le società segrete dotate di rituali iniziatici possano essere "buone" e giocare un ruolo positivo costituisce un'importante variazione sul tema. I complotti non sono solo tenebrosi e malvagi; talora sono necessari. E, quando lo prende la sua vena più anticlericale, Natoli anticipa romanzi moderni come Il Codice da Vinci nel suggerire che microcomplotti come quelli dei Beati Paoli in fondo sono indispensabili per contrastare il macrocomplotto della Chiesa cattolica o almeno del suo vertice rappresentato in quanto ha di più odioso dall'Inquisizione. |