I Beati Paoli (1909-1910) di Luigi Natoli (1857-1941), che firma con lo pseudonimo di William Galt, appartiene all'epoca d'oro del feuilleton e ha segnato la popular culture italiana, e siciliana in particolare, con conseguenze che si fanno sentire ancora oggi. Tuttavia, negli anni 1950, il feuilleton si è trasformato in fascicolo popolare e questo giustifica l'inclusione nel nostro Museo.
I Beati Paoli esce in feuilleton in appendice al Giornale di Sicilia in 239 parti dal 6 maggio 1909 al 2 gennaio 1910. È pubblicato in volume nel 1921 (La Gutenberg, Palermo), e ha un seguito, Coriolano della Floresta, nel 1930 (stessa casa editrice). Nel 1955-1956 I Beati Paoli e Coriolano della Floresta entrano nel mondo del fascicolo popolare con 137 fascicoli pubblicati dalla casa editrice La Madonnina di Milano, proprio al crepuscolo della grande stagione del fascicolo italiano. Da allora, il romanzo è rimasto disponibile fino ai giorni nostri per generazioni di lettori, e si sostiene ancora che è il testo in assoluto più letto nel XX secolo dai siciliani.
Non è questa la sede né per riassumere una trama - complessa e per altri versi notissima - né per ritornare sulle controversie sulla reale esistenza dei Beati Paoli e sulla loro vera o più probabilmente presunta continuità con i "Vendicosi", un gruppo di giustizieri e di vendicatori del popolo menzionato in documenti già del XII secolo e sulla cui effettiva realtà non ci sono a loro volta dati certi. Né per approfondire le controversie più recenti su I Beati Paoli come "romanzo di mafia" o, più esattamente, romanzo dove la mafia sarebbe andata a cercare le sue patenti di nobiltà, fino a un Tommaso Buscetta che afferma in una deposizione: "La mafia non è nata adesso, viene dal passato. Prima c'erano i Beati Paoli che lottavano coi poveri contro i ricchi (…): abbiamo lo stesso giuramento, gli stessi doveri" (Gabriello Montemagno, Luigi Natoli e I Beati Paoli, Flaccovio, Palermo 2002, p. 51). La questione è stata affrontata tra gli altri da Umberto Eco (nella sua introduzione all'edizione 1971 de I Beati Paoli pubblicata da Flaccovio, Palermo), e non può essere risolta in questa sede. Segnaliamo però - per il collegamento con la storia del feuilleton e dei fascicoli popolari - che il presunto legame fra mafia e Beati Paoli non nasce con il romanzo di Natoli: quando il tenente della polizia di New York Giuseppe Petrosino (1860-1909) - che darà il nome a una lunga e fortunata serie di fascicoli popolari in gran parte scritti in Germania e tradotti poi in Francia e in Italia - è assassinato a Palermo in Piazza Marina il 12 marzo 1909, l'inchiesta di polizia rivela che la mafia, responsabile dell'uccisione del famosissimo poliziotto italo-americano, non solo si è già appropriata del mito dei Beati Paoli, ma tiene riunioni in un sotterraneo che la voce popolare vuole fosse stato sede della più antica società segreta (cfr. G. Montemagno, op. cit., pp. 52-53).
Certamente, alcune figure del romanzo di Natoli sono storiche, e in fama di Beati Paoli - si trattasse di conventicola reale o di invenzione poliziesca - nel Settecento, come il "razionale" Girolamo Ammirata, che avrebbe dovuto essere impiccato il 27 aprile 1723 ma di cui non si poté impiccare che il cadavere, essendo egli morto in un tentativo di fuga dal carcere. Le notizie però rimangono vaghe, soprattutto su riti e cerimonie iniziatiche: l'idea che i Beati Paoli giurassero sugli scritti profetici di Gioachino da Fiore (1135-1202) è suggestiva, ma non appare totalmente provata e potrebbe essere frutto di confusione con organizzazioni iniziatico-criminali più antiche (G. Montemagno, op. cit., pp. 49-50). Quanto a Luigi Natoli, mazziniano e anticlericale, vicino ai circoli massonici della sua epoca, si ritrova nella tradizione di un Eugène Sue, ma non manca mai di distinguere fra un alto clero corrotto, un'Inquisizione dipinta secondo gli stereotipi della letteratura anti-cattolica dell'epoca, e i buoni frati quasi sempre vicini al popolo siciliano.
L'interesse de I Beati Paoli non deriva solo dal suo enorme numero di lettori ma dalla svolta che fa registrare all'interno della tradizione stessa del feuilleton. Con la conventicola guidata dal personaggio (che sembra di fantasia) di Coriolano della Floresta, che lotta per i diritti di Emanuele della Motta (che si rivelerà poi un depravato) Blasco di Castiglione, i due figli - legittimo il primo e illegittimo il secondo - del duca della Motta che uno zio malvagio ha privato della fortuna e del titolo, nasce propriamente il "complotto buono", la società segreta che opera non contro ma a favore del Bene, restaurando un ordine sociale che le autorità corrotte non sono in grado di proteggere. Certo, Umberto Eco può notare che si tratta qui di una restaurazione che rimane al di qua dell'azione corale del popolo in certi feuilleton francesi coevi e che non ha nulla di rivoluzionario, restando all'interno di una logica cavalleresca e feudale. Ma che le società segrete dotate di rituali iniziatici possano essere "buone" e giocare un ruolo positivo costituisce un'importante variazione sul tema. I complotti non sono solo tenebrosi e malvagi; talora sono necessari. E, quando lo prende la sua vena più anticlericale, Natoli anticipa romanzi moderni come Il Codice da Vinci nel suggerire che microcomplotti come quelli dei Beati Paoli in fondo sono indispensabili per contrastare il macrocomplotto della Chiesa cattolica o almeno del suo vertice rappresentato in quanto ha di più odioso dall'Inquisizione.
Presentiamo le copertine della serie in fascicoli della casa editrice La Madonnina di Milano.
B.: Francesco Renda, I Beati Paoli. Storia, letteratura e leggenda, Sellerio, Palermo 1988; Gabriello Montemagno, Luigi Natoli e I Beati Paoli, Flaccovio, Palermo 2002.