Il CESPOC e la popular culture

Prima F: Feuilleton

Seconda F: Fascicoli popolari, dime novel e pulp

Terza F: Fumetti (comics)

Quarta F: Fiction televisiva

Il mito del vampiro

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IL FEUILLETON IN UN MUSEO. VIRTUALE

di Samwise (Il Domenicale - anno 5 - numero 31/32 - Sabato 5-12 agosto 2006, pag. 9)

Da sempre il fascicolo popolare media contenuti talvolta importanti tra la cultura "alta" e le masse. Per questo il Centro Studi sulla "Popular Culture" di Torino ha intrapreso una straordinaria opera di preservazione e di divulgazione

C'è ancora un El Dorado non raggiunto, una Ultima Thule che sempre sfugge. È il mondo del fascicolo popolare, piccolo omnibus delle passioni e delle curiosità della gente normale del tempo che fu.

Sappiamo infatti bene cos'è se non ce lo chiedono, ma se dovessimo fornire qualche dettaglio finiremmo immancabilmente per essere evasivi. Lui, invece, il fascicolo popolare, è stato storicamente il tramite fra la cultura "alta" e le masse, talora pure veicolando, volgarizzati (resi cioè pane per il popolo), contenuti importanti.

A monte del fascicolo popolare c'è infatti un altro fenomeno, straordinario, che gli studiosi definiscono oggi con fare tecnico popular culture.

Sì, gli studiosi, perché oramai la cosa è divenuta materia di studi anche accademici. Vedi il CESPOC, per esempio, il Centro Studi sulla "Popular "", presieduto a Torino da Andrea Menegotto e coordinato sul piano scientifico dal sociologo delle religioni Massimo Introvigne, che del fenomeno si occupa in maniera seria e profonda.

Ci si domanderà a questo punto perché non "cultura popolare", all'italiana. Be' perché questa espressione, dicono al CESPOC, grazie a una scuola di studiosi rispettati in tutto il mondo, fa riferimento immediato al folklore, mentre la dizione inglese mantiene anche nel contesto italiano il senso di fenomeno "di massa", insomma quello di una cultura diversa da quella "alta" e nata con l'irruzione in Occidente dell'alfabetizzazione di un gran numero di persone.

Le quattro "f"

Di suo il CESPOC si occupa tematicamente di quelle che chiama "le quattro f'", ossia feuilleton, fascicolo popolare, fumetto e fiction, tutti i generi definiti dalla serialità (il ritorno periodico, cadenzato degli stessi personaggi e delle medesime ambientazioni).

Soffermiamoci allora sul feuilleton, antenato del nostro fascicolo popolare. Lo merita. Dalle sue pagine, d'antan e spesso ormai sbiadite, torreggiano infatti nomi indimenticabili quali quelli di Nick Carter, di Fantomas o di Arsenio Lupin.

Coniato il termine alla fine del Settecento, il feuilleton come romanzo a puntate nasce negli anni Ottanta dell'Ottocento e viene in primo piano con la pubblicazione de I misteri di Parigi di Eugène Sue (1804-1857) negli anni 1842-1843. Pullula tipicamente di criminali il feuilleton, ma affronta spesso e volentieri anche temi comici e di fantascienza. In Italia, testimone eccelso dell'epoca d'oro del genere è la maggiore produzione italiana del settore, I Beati Paoli (1909-1910) di Luigi Natoli (1857-1941), che ha segnato la popular culture italiana, e siciliana in particolare, con conseguenze che si fanno sentire ancora oggi.

Ebbene, al feuilleton è ora dedicata una notevole mostra virtuale, intitolata Dai "Beati Paoli" al "Codice Da Vinci": il mito del complotto nel "feuilleton", allestita appunto dal CESPOC con il contributo dell'Assessorato dei Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione della Regione Siciliana. Essendo virtuale è disponibile alla visita in Internet, al sito http://www.popularculture.it/mostra_virtuale.htm.

Perché una mostra così? Perché il successo de Il Codice Da Vinci di Dan Brown da un lato e dall'altro il perdurare del dibattito attorno a I Beati Paoli hanno suggerito l'idea di una indagine per immagini sul mito del complotto nella letteratura popolare a cui la Sicilia si è mostrata subito interessata.

L'odierna speciale attenzione a questo genere che la mostra virtuale testimonia bene, dicono al CESPOC, s'inquadra peraltro nella costruzione di un primo nucleo di un "Museo virtuale del fascicolo popolare".

Del resto, si sta parlando di un genere che tra la fine del secolo XIX e la metà del XX ha contato diverse centinaia di milioni di lettori (una sola casa editrice canadese, Police-Journal, ha venduto 75 milioni di fascicoli) prima di essere soppiantata dal fumetto (e dalla televisione), e che costituisce una parte essenziale della popular culture oggi di vitale importanza riscoprire e preservare.

La paura della luce

I fascicoli popolari erano infatti tipicamente stampati, per garantirne il basso costo, su carta di non eccelsa qualità, così che il trasporto rischia di danneggiarli irrimediabilmente. Mostre ed esposizioni sono dunque - come sta avvenendo negli Stati Uniti  per i fumetti dei primordi - ormai quasi sempre virtuali, anche se i primi tentativi sono stati di portata limitata.

Ma anche le mostre e i musei virtuali dei fascicoli popolari pongono però dei problemi. La stessa scansione elettronica mediante scanner o fotografia con eccessiva esposizione alla luce crea disagi che comportano a propria volta gravi rischi di danno. Considerando l'importanza essenziale delle copertine per il successo del fascicolo popolare, il CESPOC ha quindi scelto la strada di una scannerizzazione a media illuminazione. Le imperfezioni del risultato faranno forse parte del fascino della mostra e del costituendo Museo.

Ora, la mostra virtuale "siciliana", suddivisa in due "sale" offre al visitatore oltre 2mila esempi del mondo del fascicolo ruotanti attorno al complotto.

C'è di che lustrarsi gli occhi, insomma, sognando un tempo diverso per chiedersi non tanto cosa sia cambiato (giacché questo è evidente), ma cosa sia rimasto uguale.

E avendo tutto questo spesso a che fare con la dietrologia, ciò potrebbe svelare alcuni piccoli interessanti arcani del modo con cui i popoli si formano le coscienze collettive.

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