Il CESPOC e la popular culture

Prima F: Feuilleton

Seconda F: Fascicoli popolari, dime novel e pulp

Terza F: Fumetti (comics)

Quarta F: Fiction televisiva

Il mito del vampiro

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Terza F: il fumetto

diabolikNon è necessario diffondersi in questa sede sulla “archeologia del fumetto” su cui esistono ormai intere biblioteche. Come sempre, tutto è questione di definizione. Se per fumetto o comic si intende la narrazione seriale, riquadro dopo riquadro, se ne possono rintracciare esempi anche molto più antichi ma i primi prodotti di popular culture si devono al ginevrino Rodolphe Töpffer (1799-1846), i cui primi esperimenti di “romanzo per immagini” risalgono al 1827. E una traduzione di Töpffer, The Adventures of Mr. Obadiah Oldbuck, costituisce anche il primo “fumetto” americano, pubblicato sul periodico umoristico Brother Jonathan il 14 settembre 1842. I “romanzi per immagini” diventeranno molto popolari nei successivi decenni negli Stati Uniti, dando vita a quella che alcuni chiamano l’“età vittoriana” del fumetto. Dal momento che gli album di Töpffer sono ampiamente diffusi in numerosi paesi coloro che vogliono far risalire a questo autore le origini del fumetto, facendone continuare la tradizione con Wilhelm Busch (1832-1908), l’autore nel 1865 di Max e Moritz, non hanno tutti i torti.

Se per “fumetto” si intende la caratteristica “nuvoletta” attraverso cui parla il personaggio e che dà origine alla parola italiana (che è usata anche in inglese, spesso nella forma fumette, per indicare però il fotoromanzo), occorre cercarne le origini (anche qui, con esempi ancora più antichi) nel cartoon satirico, umoristico e politico inglese della prima metà dell’Ottocento, che però è raramente “sequenziale”, caratteristica che quasi tutti gli storici individuano come distintiva del moderno fumetto. Nel 1995 molti hanno festeggiato il “centenario del fumetto” celebrando Yellow Kid di Richard F. Outcault (1863-1928) – per la verità apparso per la prima volta  il 2 giugno 1894, mentre il 17 febbraio 1895 segna lo sbarco su un quotidiano, il New York World, il 5 maggio 1895 rappresenta il suo passaggio dal bianco e nero ai colori e il 20 marzo 1897 la data del primo numero di una rivista a lui dedicata, così che certamente la data del 1896 e il centenario celebrato in qualche paese europeo nel 1996 appaiono più difficili da giustificare  – come il primo vero e proprio personaggio del comic con apparizioni regolari su periodici e quotidiani, successive raccolte in volumi e un vero e proprio programma di merchandising. Yellow Kid “parla” più spesso attraverso frasi scritte sul suo camicione che “nuvolette”, ma i critici del “centenario” si dividono in due categorie: quelli che non vogliono perdere il primato dell’Europa di Töpffer e Busch sugli Stati Uniti, e quelli che ritrovano negli Stati Uniti serie precedenti con le stesse caratteristiche. Critici europei hanno segnalato The Little Bears di James Swinnerton (1875-1974), che è del 1892; in America qualcuno ha risposto che allora si dovrebbe risalire al 1883 con la serie The Brownies di Palmer Cox (1840-1924), che dà inizio per molti all’“età del platino” del comic. Se si prendono in esame il successo popolare e gli aspetti economici, Yellow Kid rappresenta comunque una svolta – anche perché chi finisce per acquisirne i diritti è il gruppo Street & Smith, che già domina il mercato dei fascicoli – e i “centenaristi” non possono neppure loro essere liquidati troppo in fretta.

Sull’onda del successo di Yellow Kid nascono i suoi numerosi concorrenti dell’età del platino: già nel 1897 The Katzenjammer Kids (in Italia “Bibì e Bibò”) di Rudolph Dirks (1877-1968), chiaramente ispirati ai Max e Moritz di Busch, e poi via via Buster Brown, Little Nemo, Mutt & Jeff, Bringing Up Father, Little Orphan Annie e tanti altri. L’Europa non rimane indietro a lungo: in Francia i primi grandi classici sono del 1905 (Bécassine) e del 1908 (Les Pieds Nickelés). Alla fine dell’età del platino – che almeno secondo le cronologie “ufficiali” americane finisce solo nel 1933 – compaiono i primi comic derivati dai cartoni animati del cinema (Mickey Mouse – Topolino in Italia – debutta come strip sui quotidiani nel 1930 e il primo albo, Mickey Mouse Book, nonostante il titolo una rivista e non un libro, è pubblicato il 15 novembre 1930, precedendo così di due anni la prima incarnazione italiana di Topolino, della Nerbini, e di quattro il parallelo Le Journal de Mickey francese) e le raccolte di strip che non sono affatto “comiche” ma a loro modo “serie” come il Dick Tracy di Chester Gould (1900-1985), nato nel 1931 e preceduto dagli avventurosi Buck Rogers e Tarzan nel 1929, l’anno stesso della nascita del più grande classico del fumetto belga, Tintin di Hergé (Georges Rémi, 1907-1983)

Quando però dall’età del platino si passi all’“età dell’oro” del fumetto è questione non poco controversa. Alcuni parlano di una “età dell’oro” della comic strip sui quotidiani che inizia nel 1929 (il che ha il vantaggio, per i non americani, di partire anche dalla nascita di Tintin), altri si concentrano sulla creazione dell’“albo a fumetti” a colori a grande tiratura, che prende avvio dai tre milioni di copie del comic promozionale per una società di benzina, il Gulf Comic Weekly – poi Gulf Funny Weekly – nell’aprile 1933, e questo benché l’idea di un albo che contenesse solo materiale originale (senza ristampe di strip apparse sui quotidiani) risalisse almeno al 1929 (la data si ripete) con The Funnies della Dell, ed esperimenti fossero stati tentati già dieci anni prima. Coevo agli albi pubblicitari della Gulf è Funnies on Parade, il primo “albo a fumetti” (non promozionale né semplice collezione di strip) moderno, il primo grande successo americano è Famous Funnies, che nasce nell’anno successivo (1934) e il primo albo che si stacca dai personaggi delle strip quotidiane è New Fun Comics, il cui numero 1 è del febbraio 1935. Nel numero 6 dell’ottobre 1935 nella serie del detective del preternaturale Dr. Occult per la prima volta nella storia del fumetto fa irruzione un vampiro; autori della storia sono Jerry Siegel (1914-1996) e Joe Shuster (1914-1992), che all’epoca hanno già creato (nel 1933) Superman. L’ultima data proposta per l’inizio della Golden Age è il 1938, con la pubblicazione del primo numero di Action Comics, dove appaiono le più classiche storie di Superman, che sarà seguito a breve nel 1939 dal numero 27 di Detective Comics (nato nel 1937), dove Bob Kane (1916-1998) presenta Batman. Detective Comics, D.C., dà il nome alla casa editrice che da allora, e fino ai giorni nostri, domina il fumetto mondiale insieme alla rivale Timely – chiamata poi Atlas e quindi Marvel – guidata a lungo da Stan Lee (n. 1922), al cui team – con grandi discussioni circa le reali paternità e attribuzioni – si deve tra l’altro la creazione di Spider-Man, l’Uomo Ragno.

Se DC e Marvel controllano il mercato dei supereroi, subito dopo in ordine di popolarità vengono l’horror – regno della casa editrice E.C. – e i funny animal, dove ai paperi Disney di Carl Barks (1901-2000) si affiancano numerosi altri personaggi, mentre il mondo delle comic strip e delle loro ristampe in albo (queste ultime più importanti fuori degli Stati Uniti) continua a sfornare detective – da Dick Tracy, che continua a rimanere popolare, al Rip Kirby di Alex Raymond (1909-1956), forse il maggiore creatore di strip d’avventura con Flash Gordon, l’Agente Segreto X, Jim della Jungla, la cui popolarità mondiale è insediata dalle due creazioni di Lee Falk (1911-1999), Mandrake e The Phantom (L’uomo mascherato). Né – al solito – tutto si può ridurre agli Stati Uniti: prescindendo dagli sviluppi in Giappone e in America Latina, non si possono non ricordare in Italia alla fine della Seconda guerra mondiale in Italia la “scuola di Venezia” con Hugo Pratt (1927-1995) e in Belgio la “scuola di Martinelle” con Morris (Maurice de Bevère, 1923-2001), il creatore del cowboy umoristico Lucky Luke, e tanti altri. Né come la tradizione dei grandi ladri – non necessariamente gentiluomini – dei feuilleton e dei fascicoli riviva con la creazione in Italia nel 1962 da parte delle sorelle Giussani, Angela (1922-1987) e Luciana (1928-2001), di Diabolik, un personaggio che, se da una parte deve molto a Fantômas, dall’altra crea un intero, vasto genere ed estende la sua influenza ben al di là dei confini italiani. Lo stesso discorso vale per le creazioni del “romanziere prestato ai fumetti” Gianluigi Bonelli (1908-2001), che nel 1948 lancia Tex Willer, un western evidentemente influenzato dal pulp, e il cui figlio Sergio ne continua la tradizione con una casa editrice cui si devono numerosi personaggi di rilievo internazionale, dall’investigatore dell’occulto Dylan Dog al cacciatore di vampiri (ma figlio di vampiro egli stesso) Dampyr.

Un elenco dei principali fumetti rischierebbe comunque di lasciarne fuori molti importanti, e non rientra nei nostri scopi. Ci limitiamo a ricordare che la campagna contro i “diseducativi” fumetti dell’orrore porta all’emanazione di un codice deontologico, il Comics Code, preceduto e seguito da analoghe norme in molti paesi del mondo (non in Italia, dove pure una proposta dell’allora deputato Oscar Luigi Scalfaro non ebbe seguito), la cui data – il 1954 – segna la fine dell’“età dell’oro” del fumetto, così che i fumetti precedenti sono anche chiamati pre-code. I supereroi, con le cautele dettate dal Code, tuttavia sopravvivono e ne nasce una “età dell’argento”, cui sono legati alcuni dei più importanti cicli Marvel e DC, che va fino al 1968. Qui inizia l’“età del bronzo”, epoca di crisi del fumetto in cui però nasce anche qualche cosa di nuovo con il comic indipendente e underground, distribuito al di fuori delle grandi case e spesso legato alla controcultura (Zap Comics è appunto del 1968), che era stato peraltro preceduto da riviste di umorismo per adulti che facevano il verso  ai fumetti più diffusi come Mad (1952), e – in modo ancor più ribaldo (e illegale) – già negli anni 1930 dalle Tijuana Bibles, parodie pornografiche dei comic più venduti stampate in Messico e importate clandestinamente negli Stati Uniti, secondo la leggenda con copertine che le camuffavano da Bibbie.

La crisi del fumetto si aggrava nel 1979, quando la maggioranza delle vendite americane sono direct sales (senza resa) alle fumetterie e librerie: le edicole sono già in via di sparizione negli Stati Uniti (dove i giornali si acquistano per abbonamento o nei supermercati), e questo porta le tirature dei comic dai milioni dell’età dell’oro alle decine, raramente centinaia di migliaia di oggi. Finisce anche l’età del bronzo e comincia quella difficile del fumetto moderno, dove sopravvivono i prodotti di qualità o quelli che riescono a farsi tradurre in (o a prendere spunto da) serie cinematografiche o televisive. Ma, ancora una volta, la sparizione dell’edicola è un problema americano. In Italia, dove ci sono ancora oltre 34.000 edicole, la distribuzione dei fumetti segue una logica totalmente diversa, e un prodotto come W.I.T.C.H. della Disney, che crea nel  2001 uno stile nuovo, presto imitato in tutto il mondo, vende nella sola edizione italiana più di qualunque mensile a fumetti pubblicato negli Stati Uniti. Insieme, l’albo cartonato in Francia e la graphic novel di lingua inglese creano talora vere e proprie opere d’arte, di cui ci si può perfino chiedere se siano ancora popular culture

Superman probabilmente Messìa, di Massimo Introvigne (il Domenicale. Settimanale di cultura, anno 5, n. 37, 16 settembre 2006)
Chicken Little della Disney: storie di sindaci e di tacchini, , di Massimo Introvigne (L’Indipendente, 10 gennaio 2006)
I Puffi? Una loggia massonica, di Massimo Introvigne
Tex e Mister No, "eroi finiani", di Stefano Priarone
English-Language Vampire Comics, 1935-2000 - A list and a catalogue of the holdings of CESPOC Library

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