La popular culture e le quattro F
Ha un senso parlare di popular culture in un’epoca postmoderna in cui ogni divisione fra cultura “alta” e cultura “popolare” è messa in discussione, talora non senza qualche ragione? E, anzitutto, perché popular culture e non “cultura popolare”? Per inguaribile anglofilia o mania “amerikana”? Non proprio. L’italiano “cultura popolare” grazie anche a una scuola di studiosi rispettati in tutto il mondo indica immediatamente un patrimonio di tradizioni che fa riferimento anzitutto al folklore. L’inglese popular culture ha mantenuto anche in italiano il senso diverso di una cultura “di massa”, nata con l’irruzione in Occidente dell’alfabetizzazione di un gran numero di persone che, avendo imparato a leggere, volevano delle letture semplici, attraenti e di effetto immediato.
La popular culture risponde alla domanda su “che cosa far leggere” a queste persone scoprendo che è più facile leggere tutto quanto è seriale, ritorna con gli stessi personaggi e con la stessa ambientazione settimana dopo settimana o mese dopo mese. Questa serialità, che si declina in vari modi prima il feuilleton, poi il fascicolo popolare, la dime novel, il pulp, il fumetto, poi ancora le derivazioni radiofoniche e televisive costituisce in senso rigoroso lo specifico della popular culture. Se ne può organizzare l’articolazione intorno a quattro F: feuilleton, fascicolo popolare, fumetto e fiction televisiva. Tutti e quattro questi generi hanno anche scatenato polemiche e controversie, la cui posta in gioco ideologica andava al di là dei problemi contingenti.
Guerre virtuali, di Massimo Introvigne (L'Indipendente, 10 febbraio 2006)